Affrontare l’ansia per la matematica con la didattica del sorriso

Affrontare l’ansia per la matematica con la didattica del sorriso

Perché così tanti bambini sono pietrificati dalla matematica, e al solo sentir parlare di “divisioni” o “moltiplicazioni” hanno mal di pancia e non vogliono andare a scuola?

La matematica può essere faticosa e frustrante per molti studenti. Molti di noi hanno probabilmente sperimentato nel corso della proprio percorso scolastico la profonda sensazione di agitazione e inquietudine in vista delle verifiche alla lavagna o dei compiti in classe di matematica. Quanti di noi tutt’ora affermano nel quotidiano “Io non sono portato, non sono bravo in matematica”? Per milioni di adulti, studenti e bambini questa disciplina si trasforma in un vero e proprio incubo giornaliero, tale da innescare un’ansia sostenuta al solo sentir parlare di operazioni da risolvere.

Se si prova a ripercorrere con la memoria il proprio vissuto da studenti molti si ricorderanno la sensazione di attrazione o di disagio, se non di vera repulsione, provate verso alcune materie scolastiche, a seconda dei nostri successi o insuccessi nelle diverse discipline.

 

Ma quando l’incubo per i numeri e i calcoli si trasforma in ansia per la matematica?

Affrontare l’ansia per la matematicaL’ansia per la matematica, è una reazione emotiva negativa, una vera e propria condizione di disagio, “di tensione e ansietà che interferisce con la risoluzione dei quesiti matematici, nelle diverse situazioni della vita ordinaria e scolastica. Sappiamo, grazie agli studi precedenti, che quest’ansia ha un’influenza negativa sul rendimento scolastico: gli individui più ansiosi hanno una prestazione meno efficiente nei compiti matematici, anche in compiti semplici, come il calcolo a cifra singola” (Bosmans e De Smedt, 2015) .

L’Ansia è una delle emozioni maggiormente studiata in psicologia dell’educazione in quanto strettamente connessa con la performance e la motivazione degli studenti (Scheff, 1985; Bruner, 1986; Ma, 1989; Ashcraft 1995, 1996; Lazarus, 1991, 2000). In relazione alla disciplina matematica, la letteratura conferma la presenza di importanti vissuti emotivi negativi negli studenti (Lucangeli, 2003). Il successo o l’insuccesso nella matematica può difatti condizionare in modo peculiare la scelta della propria carriera scolastica, universitaria e professionale (come rilevato, ad esempio, da Ma, 1999) e portare al conseguimento o all’evitamento di corsi di matematica di alto livello.

Nella storia della psicologia lo studio dell’ansia in relazione ai processi cognitivi (Anolli, 2002), ha evidenziato che tutte “Le situazioni d’apprendimento non sono mai neutre dal punto di vista emotivo ed affettivo” (Boscolo, 2012). Molti sono i fattori, psicologici e non, evidenziabili alla base di questa forma di tensione emotiva.

L’Ansia è dunque strettamente connessa con la performance e la motivazione degli studenti (Scheff, 1985; Bruner, 1986; Ma, 1989; Ashcraft 1995, 1996; Lazarus, 1991, 2000). Se impariamo con paura o con ansia, tutte le volte che recuperiamo dalla nostra memoria ciò che abbiamo appreso, portiamo con noi anche l’emozione negativa provata in quel momento.

 

Alcune ricerche sull’ansia per la matematica

Secondo il professore di Stanford, Vinod Menon, la parte del cervello da cui origina l’ansia per la matematica è la stessa parte “che risponde a situazioni di paura”; “per la nostra mente è come vedere un ragno o un serpente, se si hanno queste fobie”. Davanti ad un problema matematico l’individuo elabora le informazioni attraverso l’amigdala (il centro emotivo del cervello) inviandole poi alla corteccia prefrontale, la cui attività principale è il controllo dei pensieri e delle azioni in accordo ai propri obiettivi. Alcuni studiosi hanno dimostrato che, se si innesca una situazione di forte stress durante la risoluzione di un quesito matematico, c’è più attività nell’amigdala che nella corteccia prefrontale (Dott.ssa Judy Willis, neurologo di Santa Barbara, California). Una serie di esperimenti condotti presso il “Mangels Lab of Cognitive Neuroscience of Memory and Attention”, nel Baruch College a New York, dimostrano come questa situazione di stress colpisca maggiormente gli studenti proprio quando essi sanno che le loro prove sono finalizzate all’ottenimento di un giudizio o sono confrontate con altri individui.

Oltre a tali fattori, rivestono un ruolo cruciale anche altri aspetti emotivo-motivazionali, responsabili dei vissuti negativi nei confronti della matematica, a seconda dei successi o insuccessi esperiti nell’apprendimento della materia. Fra i diversi aspetti motivazionali coinvolti, la letteratura ha evidenziato come cruciali i concetti di “competenza”, “autoefficacia”, “stile attributivo” e “autostima” (Lucangeli, 2003).

Alcuni recenti studi hanno dimostrato che le emozioni a valenza negativa tendono ad aumentare d’intensità nel corso degli anni scolastici, mentre l’intensità di quelle a valenza positiva decresce (Helmke, 1993; Pekrun et al., 2007).

Nessuno conosce il momento esatto in cui la matematica ha iniziato a terrorizzarci, tuttavia la paura sociale di questa disciplina è stata inoltrata, anche se non geneticamente, da una generazione a quella successiva. Secondo Elizabeth Gunderson, professore presso il dipartimento di psicologia della Temple University, c’è un “transfert adulto-bambino” che accade – di solito involontariamente – tale da trasferire il concetto “la matematica è difficile” come verità assoluta, più che come esperienza di delusione sociale. Gunderson afferma che “Le persone con più ansia per la matematica non solo hanno peggiori risultati, ma si creano delle elucubrazioni verbali, che possono sovraccaricare la memoria, creando un circolo vizioso di pensieri negativi che tendono a concentrarsi sulla possibilità /paura di fallimento“.

Gli esperti evidenziano difatti che l’illusione della nostra società si basa su un fantomatico mito: o sei bravo in matematica, o non lo sei. Per di più si sostiene, in modo infondato, che i bambini siano spesso più dotati in ambito scientifico rispetto alle bambine. La ricerca scientifica ci conferma dunque che, a meno che non si presenti un disturbo specifico di apprendimento del calcolo, noto come discalculia, è possibile per tutti diventare competenti in matematica.

 

COSA FARE IN CASO DI ANSIA PER LA MATEMATICA

Data la grande variabilità individuale, e le diverse manifestazioni e gradi di intensità che l’ansia assume, occorre riflettere sugli accorgimenti che “coinvolgono” gli studenti nella disciplina. Una delle prime cose da fare è senz’altro aiutare il bambino o ragazzo a “cambiare il modo di pensare e affrontare la matematica“.

Non è necessario avere le formule tutte in mente per capire i rapporti numerici o essere superveloci nel fare i calcoli scritti. A questo proposito Boaler afferma: “Esiste un vero e proprio collegamento fra prove cronometrate e l’ansia per la matematica. Sembrerebbe che le verifiche a tempo danneggiano la relazione dei bambini con la disciplina. Ogni volta che facciamo esperire ai nostri studenti esperienze ansiogene durante i compiti in classe, con prove a tempo, perdiamo nuovi studenti di matematica”.

I vissuti e i pensieri di insegnanti, genitori e coetanei influenzano pertanto in modo significativo il successo o l’insuccesso nella disciplina. La tipologia di didattica o di compiti presentati contagiano la sensazione di agio o disagio nella materia. La matematica può essere resa stimolante e divertente, può essere toccata con mano con oggetti concreti, può essere disegnata, costruita e reinventata, può essere mostrata come un’altra lingua, quella che ci aiuta a dare un senso al mondo, in un modo in cui le sole parole non possono farlo.

I bambini cominciano ad esternare segni di cambiamento nell’approccio alla matematica, ogni qual volta esperiscono un senso di competenza in più, ogni qual volta conquistano più fiducia, e iniziano a sperimentare dal contesto significativo piccoli apprezzamenti, riconoscimenti, consensi, preparandosi per nuovi e grandi traguardi.

 

 

La Didattica del Sorriso

Le scienze cognitive più orientate verso il tema dell’educazione ci avvertono e ci dicono che per fare in modo che i bambini apprendano ottenendo il meglio da sè e riducano l’ansia in classe, come l’ansia per la matematica, bisogna ritornare a fare apprendere le materie con il sorriso, cioè con l’emozione di benessere che l’apprendimento può con se portare. La didattica del sorriso è chiamata “apprendimento caldo“, un apprendimento che può avvenire a scuola con le nostre emozioni migliori.

“A scuola si vivono le esperienze più significative della propria vita e le figure più significative in questa fase di crescita sono gli insegnanti e i compagni. Le Ricerche scientifiche attuali ci spiegano che le emozioni accompagnano ogni nostra esperienza di apprendimento” (cit. Daniela Lucangeli)

Sorridere è molto di più che una manifestazione di piacere o gioia. Sorridere significa essere alleati e vicini della persona che sta imparando. Oltre ai vari effetti benefici scientificamente provati che un sorriso apporta all’organismo, tra cui la regolazione della pressione sanguigna, la riduzione dello stress, l’attivazione del sistema immunitario, il miglioramento del tono generale dell’umore, il sorriso è utilizzato per specifiche ragioni sociali, per inviare diversi tipi di messaggi utili nell’interazione con l’altro.

Recenti studi hanno dimostrato gli effetti positivi del sorriso comunicativo e di incoraggiamento in classe, anche nelle ore di matematica: studenti con docenti addestrati all’uso del sorriso in aula, hanno riportato un miglioramento significativo della memoria, attenzione, apprendimento, linguaggio, della relazione sociale e del benessere psicologico, con una riduzione dell’ansia generale.

Gli studi differenziano il ruolo del sorriso comunicativo, che, usato durante la fase dell’insegnamento, facilita l’apprendimento da parte dei ragazzi, e il ruolo del sorriso di incoraggiamento, che, usato al momento della correzione dell’errore, vale di più rispetto ai molti rimproveri (Lucangeli & Moè, 2010; Moè, 2012). Sorridere è pertanto anche il modo migliore per aiutarsi ad apprendere al meglio.

Inoltre, il sorriso autentico e genuino, per comunicare e incoraggiare, ha il potere di modificare l’umore non solo degli alunni, ma anche il nostro, in quanto il sorriso ha la caratteristica di essere contagioso: quando qualcuno sorride illumina la stanza, cambia l’umore degli altri, rende le cose più belle, porta con sè la felicità e la sicurezza di poter continuare a dare il meglio di sé per imparare.